I cinghiali si “divorano” il futuro della Garfagnana e del suo pregiato Farro IGP. La coltivazione dell’antico cereale che tiene in vita gli aspri e difficili territori della Garfagnana di questo passo è destinata a sparire. Il pericolo principale non sono gli effetti dei cambiamenti climatici ma la presenza fuori controllo e devastante di branchi di cinghiali che come “cavallette” mangiano i raccolti degli agricoltori privandoli di una delle loro primarie fonti di reddito. Negli ultimi dieci anni la produzione del farro a denominazione è quasi dimezzata arrivando al minimo storico di poco più di 1.000 quintali e così anche il numero di aziende e le superfici si sono fortemente ridimensionate nonostante la grande richiesta da parte del mercato oggi impossibile da soddisfare. A denunciarlo è Coldiretti Lucca che torna a chiedere interventi mirati e su larga scala per ridurre la minaccia che i cinghiali rappresentano per l’agricoltura e per i cittadini. A far traboccare nuovamente il bicchiere una lunga sequenza di danni alle coltivazioni degli agricoltori. L’ultima a San Romano in Garfagnana. Giuseppe Redentiquest’anno ha raccolto le “briciole”. I suoi 4 ettari di terreni sono stati completamente distrutti ed i ristori non copriranno mai ne il valore commerciale di un prodotto IGP molto apprezzato ne il costo delle lavorazioni, del tempo impiegato ed anche delle preoccupazioni. Ma è solo una delle tante disperate situazioni. “Stiamo assistendo all’estinzione di una delle più importanti eccellenze agricole della Garfagnana e del paniere regionale che ha assicurato, fino ad oggi, continuità alla presenza agricola in aree altrimenti destinate all’abbandono. – tuona Andrea Elmi, Presidente Coldiretti Lucca – Quello che sta accadendo è paradossale. Il danno non è solo economico, ma ambientale perché le aziende garantiscono la manutenzione del territorio e la sua cura, turistico perché il farro è uno dei piatti più richiesti da chi viene in vacanza in lucchesia, commerciale perché è un prodotto che ha una grande richiesta sui mercati e di immagine perché il farro è associato alla Garfagnana e viceversa. I cinghiali stanno distruggendo una delle risorse strategiche di questi luoghi. Siamo pronti a rinunciare a tutto questo?”.
A fornire i numeri che bene esprimono il pericolo verso cui la Garfagnana sta correndo a vele spiegate è il Consorzio di Tutela del Farro della Garfagnana IGP: “Di questo passo nessuno seminerà più farro, o altre colture, perché sanno già che raccoglieranno niente o poco. E’ un’attività a perdere. – spiega Lorenzo Satti, Presidente del Consorzio di Tutela del Farro della Garfagnana IGP – Negli ultimi cinque anni la produzione di farro è crollata del 30% quando c’è una richiesta in crescita; questo significa perdere opportunità e posti di lavoro quando c’è bisogno dell’uno e dell’altro in un territorio già difficile come il nostro. Le aziende che certificano oggi il farro sono 30-35, una decina di anni fa erano 60-70 a seconda dell’annata. La tendenza è chiara. Tra dieci anni potrebbe non esserci più un farro della Garfagnana IGP”.
Un altro termometro che bene inquadra la calamità cinghiali è la brilleria a Piazza al Serchio che lavorava, fino a qualche anno fa, tantissimo prodotto locale. I branchi di cinghiale a spasso tra i campi coltivati mentre fanno incetta di farro, mais, grano, uva sono all’ordine del giorno. A testimoniarlo numerosi video e foto. Le recinzioni non possono essere la soluzione. “La soluzione è ristabilire un equilibrio sostenibile. – spiega Giuseppe Redenti – Come può, una piccola azienda come la mia, sostenere i costi di 4 ettari di recinzioni? I cinghiali non dovrebbero stare dove ci sono le coltivazioni ma nei boschi. In due anni la mia produzione di farro è stata quasi azzerata. Denuncio i danni ma non i risarcimenti, quando arriveranno, non coprono il valore di mercato del farro. Ormai seminiamo per dare da mangiare ai cinghiali”. Dall’inizio dell’anno dai soli uffici Coldiretti della Garfagnana sono state venti le richieste di risarcimento danni denunciate dagli agricoltori ed una quindicina gli interventi per gli abbattimenti straordinari così come previsto dall’art. 37. La presenza sproporzionata di questi animali selvatici nelle zone vocate, ovvero i boschi, che dovrebbe essere di 2,5 esemplari ogni 100 ettari (oggi siamo anche a 10 esemplari ogni 100 ettari) rappresenta un pericolo anche per la comunità e la sicurezza stradale. Per contrastare l’emergenza cinghiali Coldiretti ha chiesto il coinvolgimento dell’esercito anche alla luce dei rischi di diffusione di malattie.